Riportiamo un estratto da un’intervista di Fondazione Lang a Paolo Nicoletti, vice presidente di Etimos Foundation e presidente di Microcredito per l’Italia.
Qual è la situazione attuale in Italia per l’impact investing e quali progressi vede negli ultimi anni? Cosa manca per renderlo mainstream?
Credo che ormai la vicenda legata agli investimenti a impatto rappresenti bene una tipica vicenda nazionale, più argomento di discussione accademica che di effettiva esperienza sul campo: se ne parla tanto, si fanno grandi proclami, ma ci sono poi poche attività realizzate efficacemente e nel pieno spirito dello strumento. Dobbiamo passare dalla fase d’innamoramento del concetto in sé, alla realizzazione di progetti concreti. E prima di tutto serve chiarezza.
Sicuramente è evidente l’opportunità offerta da questo tipo di strumenti per assicurare livelli dignitosi di welfare, visto il progressivo ritiro dello Stato; e sicuramente si avverte una difficoltà nel calare una struttura d’investimento tipicamente di matrice anglosassone in un contesto come il nostro dove, per parlare per esempio di Social Impact Bond (SIB), serve un ruolo della Pubblica Amministrazione attivo e consapevole, che finora non vedo.
A mio avviso sono due i problemi principali, il primo è fortemente culturale: spesso ci si scontra con la difficoltà nell’immaginare investitori privati coinvolti in qualcosa che per molti deve essere appannaggio del settore pubblico, almeno secondo un certo tipo di tradizione politica. In secondo luogo avverto ancora poca chiarezza nel trovarestrumenti idonei. Tutti vogliono fare investimenti a impatto, ma quando trovi un investitore privato, la difficoltà consiste nell’individuare l’universo investibile da proporgli, perché manca quel supporto alla quantificazione del risparmio generato per la collettività.
Questo è un ruolo che spetta al pubblico ed è proprio questo il principale fattore che manca per far affermare il concetto d’investimento a impatto: certificare e riconoscere il risparmio per collettività e territorio. Il compito del pubblico dovrebbe essere quello di paracadute finale, riconoscendo un rendimento agli investitori o svolgendo una funzione di garanzia, per bilanciare le esigenze del privato e quelle dell’operatore che materialmente gestisce il processo e che si troverebbe altrimenti con un doppio rischio.
Oppure occorre accettare uno sviluppo dell’investimento in due fasi: una prima fase, in cui l’investitore privato e l’operatore accettano si assumersi un rischio diretto, ne misurano l’impatto generato nel territorio (o nel settore) individuato, e solo in una seconda fase (o in parallelo) si rivolgono ad una Pubblica Amministrazione per far emergere e condividere opportunamente il dividendo generato.